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"Fare cose con le parole"

Una 'e' disgiuntiva?

di Giovanni Acerboni, 10 febbraio 2011

 

Entro la data del 28 febbraio 2011, dall'archivio dei soggetti autorizzati alle operazioni intracomunitarie sono esclusi coloro che hanno presentato la dichiarazione di inizio attività ai fini IVA prima del 31 maggio 2010 e che non abbiano presentato elenchi riepilogativi delle cessioni di beni, delle prestazioni di servizi e degli acquisti intracomunitari di beni e servizi negli anni 2009 e 2010, o che pur avendoli presentati non abbiano adempiuto agli obblighi dichiarativi IVA per il 2009.

Così l'articolo 4, comma 1 del Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 29 dicembre 2010, intitolato Modalità di diniego o revoca dell’autorizzazione ad effettuare operazioni intracomunitarie ai sensi del comma 7-bis dell’articolo 35 del d.P.R. n. 633 del 1972, come modificato dall’articolo 27 del d.l. n. 78 del 2010 per l’adeguamento alla normativa europea in materia di operazioni intracomunitarie ai fini del contrasto delle frodi.

Un'interpretazione dubbia

Il comma 1 pone una questione interpretativa inquietante. Il passo critico è il seguente:

sono esclusi coloro che... non abbiano presentato elenchi riepilogativi delle cessioni di beni, delle prestazioni di servizi e degli acquisti intracomunitari di beni e servizi negli anni 2009 e 2010 (grassetto mio).

Apparentemente, niente di strano: è escluso chi non ha presentato gli elenchi nel 2009 e nel 2010. In altri termini: chi ha presentato gli elenchi nel 2009 e nel 2010 è incluso. Ma la realtà è più complessa, come mi spiegano alcuni esperti.

In primo luogo, si devono presentare gli elenchi delle cessioni e anche quelli delle prestazioni, o ne basta uno solo? Infatti, va notato che gli elenchi delle prestazioni sono obbligatori solo dal 2010, perché prima non esistevano, mentre gli elenchi delle cessioni esistono dal 1994 (basti questo accenno alla questione, che lascio lì, per evitare di addentrarmi in questioni tecniche che porterebbero il discorso lontano dal senso del mio contributo).

In secondo luogo, dobbiamo considerare che ci può essere chi ha presentato gli elenchi solo nel 2009 o solo nel 2010. Dunque: bisogna aver presentato gli elenchi due volte, oppure basta averli presentati una volta sola, in un anno oppure nell'altro? Se è ovvio che chi ha iniziato l'attività nel 2010 presenta gli elenchi una volta sola, chi ha iniziato l'attività nel 2009, che cosa deve fare?

Il senso di questa nuova disciplina è impedire a soggetti non controllati e monitorati di fare determinate operazioni verso l’estero. Ecco il perché dell’autorizzazione, che deve essere ottenuta da chi non ha mai fatto queste operazioni. Ma coloro che le hanno fatte nel 2009 o nel 2010, e dunque hanno già presentato gli elenchi, possono già essere monitorati. E, dunque, dovrebbe essere sufficiente che queste operazioni siano state fatte in uno soltanto degli anni 2009 e 2010.

La logica suggerisce che basti una sola presentazione.

Alcune interpretazioni

Sulla questione, è stato chiesto un chiarimento agli esperti del forum/convegno "Telefisco", organizzato dal Sole24Ore. La risposta è stata pubblicata sul giornale il 31 gennaio 2011:

la congiunzione ‘e’ va intesa alternativa e non copulativa: basta un solo elenco nel 2009 o 2010 [...].

Del dubbio si è occupato il 2 febbraio 2011 anche Franco Ricca sul quotidiano "Italia Oggi". Ricca ne dà un'interpretazione che mi pare poco chiara, e di segno opposto a quella del Sole24Ore:

Continua a serpeggiare il dubbio che [...] occorra aver presentato gli elenchi Intrastat per entrambi gli anni 2009 e 2010, poiché, si sostiene, la congiunzione 'e', impiegata dagli estensori del provvedimento, esigerebbe appunto la presentazione degli elenchi nel 2009 e nel 2010. Sulla scorta di questa lettura, viene pertanto suggerito di presentare prudenzialmente la richiesta di autorizzazione. In proposito, si deve rilevare che si tratta di una lettura errata, sia sotto il profilo sintattico sia logico. Sotto il primo profilo, se si realizza la condizione di mancata presentazione degli elenchi nel 2009 e nel 2010 il soggetto viene escluso, sicché proprio la congiunzione 'e' sta a significare che l'esclusione scatta in assenza di elenchi per entrambi gli anni (altrimenti sarebbe stata utilizzata la disgiuntiva 'o'). Detto questo, la lettera poteva risultare ancora più chiara utilizzando la particella negativa 'né'.

Qual è il valore della 'e'?

Il manuale Regole e suggerimenti per la redazione dei testi normativi (elaborato da un gruppo di Regioni su iniziativa della Regione Toscana e pubblicato nella sua ultima versione nel 2007), scrive al proposito:

Per esprimere una relazione disgiuntiva inclusiva usare preferibilmente la parola "o" posta fra i due termini; evitare invece la parola "e" (che va riservata alle relazioni congiuntive: la fattispecie si realizza quando tutti gli elementi correlati si avverano) e la espressione "e/o.

Dunque, quella 'e' dovrebbe, secondo le indicazioni (ma sappiamo che non sempre sono seguite), significare 'e', e avere cioè un valore copulativo.

Ma il valore copulativo non è l'unico che la 'e' possa assumere. Dipende dal contesto e dalla costruzione della frase. Nel contesto dell'argomento e del senso del provvedimento ("l'intenzione del legislatore", per citare l'art. 12 delle Preleggi), come abbiamo visto, il valore disgiuntivo sarebbe più aderente alla logica. Tuttavia, il comma, per poter assumere il valore disgiuntivo, sarebbe dovuto essere stato scritto in modo diverso. Quanto meno, sarebbe dovuta risultare chiara o almeno inferibile l'ellissi di una proposizione tra '2009' e '2010'. Per esempio:

sono esclusi coloro che... non abbiano presentato elenchi riepilogativi delle cessioni di beni, delle prestazioni di servizi e degli acquisti intracomunitari di beni e servizi nell'anno 2009 e sono esclusi coloro che... non abbiano presentato elenchi nell'anno 2010.

Meglio ancora:

sono esclusi coloro che... non abbiano presentato elenchi riepilogativi delle cessioni di beni, delle prestazioni di servizi e degli acquisti intracomunitari di beni e servizi nell'anno 2009 o in alternativa nell'anno 2010.

Però la 'e' in questione non coordina due proposizioni e nemmeno due sintagmi, bensì solo due attributi (2009 e 2010) dello stesso nome (anni). In tale situazione, nonostante il contesto, il valore copulativo è certo. La grammatica è inequivocabile.

Il valore della questione

Vi sono in Italia diverse migliaia di soggetti interessati da questo provvedimento. Moltissimi di essi si stanno interrogando se valga la logica o la grammatica, e stanno interrogando i loro consulenti fiscali e legali. I quali sono imbarazzati, perché sanno benissimo che dal punto di vista logico e sistemico una presentazione è sufficiente, ma sanno anche benissimo che un giudice potrebbe sentenziare in base al solo significato grammaticale della 'e'. È vero infatti che i giudici si trovano oggi a giudicare sui dettagli ultraspecialistici di materie complessissime, che nessuno può pretendere che un giudice conosca sempre fino in fondo. Un giudice scrupoloso potrebbe dover studiare per qualche mese una materia, prima di sentirsi in grado di giudicare secondo cognizione e coscienza.

Nel dubbio se questa 'è' sia logicamente disgiuntiva relativa (vel) oppure se sia copulativa, potrebbe accadere che pervengano migliaia di presentazioni agli uffici che gestiscono gli elenchi. Quante di esse sono inutili? Per saperlo, i funzionari dovranno esaminarle (ore di lavoro), archiviarle (consumo di spazio), rispondere (consumo di tempo, di carta, di spazio).

Francamente, non me la sento di imputare all'estensore della norma di essere stato poco chiaro. Certo, poteva essere più esplicito, ma esplicitare questo punto avrebbe richiesto una analoga esplicitazione di chissà quanti altri passi del provvedimento.

Non ci troviamo di fronte a un caso di scrittura ambigua. O, meglio, ci troviamo di fronte a un caso di scrittura ambigua, ma l'ambiguità non è generata dall'impiego di termini o costruzioni in se stessi ambigui o oscuri, bensì dall'oggettiva complessità della materia e dalla necessità di disciplinarla sinteticamente, in ordine a un banale principio di economia della comunicazione. L'ambiguità potrebbe anche essere stata generata da un errore che l'autore ha compiuto nel calcolare ciò che doveva presupporre. Per lui era ovvio, ma per un altro?

Sullo sfondo c'è anche la crescente sfiducia nella certezza del diritto. Chi chiede una spiegazione al suo consulente lo fa perché già sospetta che un giudice possa interpretare la norma diversamente da come sarebbe logico ed economico interpretarla. Questo sospetto non nasce dal caso, ma – evidentemente – dall'esperienza.

Il costo di questa situazione di ambiguità, soprattutto se sommato al costo di analoghe situazioni di ambiguità, è spaventoso dal punto di vista meramente economico, ma, per quanto spaventoso, è irrisorio rispetto al danno che l'incertezza del diritto produce in una società. La quale incertezza, evidentemente alimentata nel corso degli anni da sentenze considerate inique, sta forse oggi diventando un pre-giudizio (mi pare che il trattino serva).